L’autunno, in certi pomeriggi di calma sospensione, sembra distendere sul mondo un velo d’oro e di malinconia, come se la luce stessa avesse imparato a ricordare.

La memoria si dischiude come una finestra su un passato sussurrato dal vento, e ogni foglia ormai stanca di vivere la breve eternità di verde, si arrende all’abbraccio del tempo e muta in rame, in ocra, in una gamma infinita di sfumature che solo l’occhio della memoria riesce pienamente a comprendere;
ogni foglia, cadendo, racconta così una storia, una reminiscenza, un tempo che si scioglie lento come zucchero nel latte caldo della malinconia.
Le mattine sono impregnate di una luce dorata, una sorta di polvere d’oro che si posa su ogni cosa, e il cielo stesso sembra indugiare, trattenendo gli ultimi azzurri prima che le nebbie e i grigi invadano il paesaggio con la gentilezza di una carezza velata. I colori dell’autunno sono una tavolozza struggente di oro, rame e rubino, e c’è in essi una gloria crepuscolare: ogni cosa che muta, che appassisce, sembra splendere di un’intensità nuova, come se dovesse imprimere nella memoria tutta la sua esistenza in un ultimo gesto d’amore. Osservando questi alberi così generosi, che offrono al vento le loro chiome decorate di rosso e di bronzo, ci si accorge che nella natura vive la stessa fugacità che percorre le nostre ore più dolci: tutto passa, si trasforma, si dissolve. E, tuttavia, ogni caduta porta con sé una promessa di rinascita, così come ogni dolore custodisce un segreto tepore pronto a risorgere quando meno ce lo aspettiamo. In autunno, il tempo sembra accelerare e rallentare insieme, e la memoria sa cogliere il gesto lieve della foglia che danza nell’aria, la sua traiettoria silenziosa, la nostalgia della sua partenza. Il sole autunnale, più basso, più discreto, accarezza con una luce obliqua le mani, gli alberi, le pietre.
La sua carezza non brucia, non impone; consola con una dolcezza che scalda l’anima, evocando ricordi di infanzie scomparse, giorni senza tempo vissuti fra l’odore dei libri e il rumore quieto della natura. In questo tepore improvviso, quasi rubato all’inverno ormai alle porte, si percepisce un intimo benessere, uno slancio che pur sapendo della fine, trova conforto nella semplice presenza della luce, nella promessa silenziosa di un altro inizio che aspetta, paziente, invisibile. 
Le giornate si accorciano, ma nella loro brevità allungano l’ombra carezzevole del ricordo. Forse è proprio questa malinconia il segreto della felicità, la capacità di sentire eternità nella fugacità, di comprendere che ogni tramonto è già nostalgia, ma anche preludio di un’alba che verrà. Camminando lungo i viali cosparsi di foglie, il piede affonda in un tappeto di memorie.
L’odore della terra, mescolato a quello del legno umido e delle ultime bacche mature, risveglia ricordi che sembrano non appartenere soltanto al passato, ma a un tempo interiore, che scorre parallelo al respiro dell’universo. 
Così, nei profumi resinosi dei boschi, nel crocchiare secco delle foglie sotto le scarpe, si riconoscono le tracce degli anni passati, degli amici perduti, delle occasioni mancate. Autunno è stagione di raccolta, di bilanci interiori e di attese segrete. Negli orti smossi, sui tavoli in cucina, si accumulano mele mature e zucche dorate, castagne lucide, grappoli dimenticati dall’estate.
La natura offre i suoi ultimi doni prima del sonno, e nell’aria aleggia una promessa di quiete, un invito a raccogliersi in sé stessi per prepararsi alle lunghe sere invernali, quando tutto sembra tacere ma, nel cuore, qualcosa continua a palpitare. Forse è proprio nell’autunno che si fa più acuto il senso del tempo: una nostalgia che non è rimpianto, ma gratitudine; una consapevolezza che il passato non è solo qualcosa che si lascia alle spalle, ma una linfa segreta che ci attraversa, ci nutre e ci sostiene quando il cielo si fa più opaco e le mani cercano calore. In questa eterna sospensione tra luce e ombra, tra tepore e brivido, si compie la danza segreta della nostra anima, simile a quella delle foglie che, pur sapendo di cadere, si abbandonano al vento con leggerezza, quasi fosse un gioco.
Tra la nebbia che si alza lieve dai campi e il profilo affilato delle montagne lontane, si sentono risuonare le parole mai dette, i gesti non compiuti, i desideri sopiti. Ed è proprio questa ciclicità, questa perpetua trasformazione che rende la vita degna di essere vissuta fino in fondo, come un sorso di miele amaro, un ricordo d’infanzia che ci accompagna per sempre, un attimo di sole che basta a riscaldare anche i giorni più freddi del nostro inverno interiore. Ed ecco, ancora una volta, la magia dell’autunno si rinnova – ogni anno diversa, ogni volta uguale. Ritorna la nostalgia, ritorna il tepore, ritorna la struggente bellezza della fine che è anche, sempre, un nuovo inizio.